Carlo Pagnini

Fantasie metaforiche

Ho passeggiato lungo la spiaggia deserta! Niente ombrelloni, sedie, lettini… capanni chiusi, vuoti, ma il mare immenso, maestoso sempre pronto a farsi calpestare da chiunque lo voglia vedere, sentire, ascoltare!

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Fin da piccolo ho vissuto con il mare meravigliose ore di spensierata gioia. Tuffarsi, nuotare, immergersi erano per me divertimenti, incredibili. La profondità, le onde, le correnti, non mi spaventavano. Le affrontavo con disinvoltura e abilità. L'acqua mi entrava negli occhi, nel naso, nelle orecchie, in bocca, in gola; mi lasciava la salsedine in tutto il corpo. Mi piacevano i suoi doni. Sapevo che dava la vita a miriadi di creature ma, purtroppo, non era in grado di ridarla a una storia conclusa. Non poter più condividere tutto questo con alcuno fa sì che la solitudine si presenti sconfinata proprio come il mare.
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Ho navigato, più o meno bene, incontrando mari calmi e tempestosi; come succede indistintamente a tutti gli esseri viventi. Dal punto in cui mi trovo vedo chiaramente l'altra sponda. (Sappiamo bene di che sponda stiamo parlando). A fatica cerco di mantenere la rotta affiancato da Amici che mi aiutano a tenere la barra a dritta. Privo di entusiasmo aspetto l'ora dello sbarco. Trovo inutile cercare di evitare tutto questo fingendo che non sia la realtà. Abbarbicato al “pensiero”, (libero, gioioso, rapido come la fongore), seminando nella scia invisibile dell’abbandono briciole di cupa memoria, sono evaso dalle interminabili, fredde, buie ore della notte.
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Dall’abisso in cui era precipitato una mano lo aiutò a risalire faticosamente la china. Tornò ad essere abbagliato dalla luce del sole ardente; sentì di nuovo il calore sulla pelle, percepì il rifiorire dello spirito. Una voce, dolce, calda, rassicurante gli aveva sussurrato: “Fatti forza… ci riuscirai!” Così fu! E ora? A chi donare l’amore tornato a traboccare…?
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Quando ti senti forte, sano, apprezzato, il nemico, silente, invisibile, subdolo, imbattibile e lì: nelle tue narici! Le irrita, le infetta, le infiamma al punto da costringerti a starnutire, tossire ripetutamente, di giorno e di notte diventando un vero fastidio insopportabile per te e per gli altri. Senti gli occhi lacrimare, bruciare. Ti passa la voglia di mangiare, non sopporti più la luce, il fumo, il freddo. Ti chiudi in casa senza pensare che stai facendo da incubatrice al maligno micro organismo che intanto, senza sosta, ti prepara notevoli difficoltà da superare. La voce e già diventata roca, cupa, irriconoscibile. Ma tu non ti preoccupi più di tanto! Prima o poi passa! È solo un banale raffreddore! Non puoi credere che possa scendere nei bronchi e diventare Bronchite, coprire i polmoni e diventare Polmonite ancora peggio trasformarsi un focolaio. Ti senti ancora forte. Tutto questo non può capitare a te. Poi cedi, crolli. Il medico ti consiglia di correre ai ripari (come avevano già fatto una persona a te cara prima di lui). La lotta si fa dura ma indispensabile. È ora di accettare l'invito. Una banale indisposizione si è trasformata in un problema serio. Forse si poteva evitare anche se per te, tutto questo, non ha nessun senso. Difficile da spiegare!
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Tutti gli sventurati di questo mondo saranno davvero (come si dice) più fortunati di Adamo ed Eva? Senza cognome perché, (non nati da genitori) debbono essere considerati figli di N.N.? Creati adulti  non hanno goduto dell'infanzia!? Espulsi dall’Eden per non aver rispettato la legge dell’ubbidienza, (che non avevano contribuito ad approvare), sono stati costretti a vivere da clandestini (senza "fissa dimora") non avendo diritto neppure a una capanna popolare? Lavorando  16/18 ore al giorno (domenica compresa), violando ogni diritto sindacale), hanno dovuto convivere  nell’illegalità privati di: nonni, fratelli, sorelle, parenti, amici e conoscenti? (Non risulta che si siano mai sposati né in chiesa né in comune). L'unica fortuna, caduta dal cielo, è che non hanno avuto gli suoceri. Inoltre, non frequentando corsi serali di educazione sessuale per lavoratori precari, si sono trovati con due figli (Caino e Abele) illegittimi? Se così fosse che sofferenza hanno dovuto sopportare quando il più grande, per gelosia, uccise il più piccolo nel fiore degli anni? E il fratricida non venne mai condannato per mancanza di un giudice iscritto alla Associazione Nazionale Magistrati, oppure perché i posteri, anziché gridare: “Qualcuno fermi Caino” hanno urlato: “Nessuno tocchi Caino?” Ora, mi domando, due uomini e una donna, (se non c’è stato l’incesto), come hanno fatto a dare il via alla stirpe dalla quale tutti discendiamo? Me an la i ò capida.
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La neve è come una donna che non ti ama. Bellissima, candida, immacolata. Ti da le vertigini, i brividi. Puoi guardarla, ammirarla, desiderarla! Se tenti di sfiorarla con una mano, ti gela.
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Persiste il lungo inverno riversando, le ultime gelide gocce di pioggia miste a fiocchi di neve, attraverso la luce di un lampione. Intanto, inesorabile, la primavera incalza e prepara lo sbocciare dei fiori a nuova vita. Questi, provenienti da sconfinati spazi, lucenti e calorosi, dai confini del cielo; messaggeri affettuosi di amicizia, giungono, come il canto dell’allodola, portatori di sogni, di speranze, di desideri, attraverso misteriosi sguardi e lunghi silenzi, alla profondità dell’anima. È così che il sommesso fluire del tempo, lo stupore dei colori e dei profumi, formulano gli auguri sinceri per un futuro gioioso.
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La tenacia delle radici fa vivere la pianta vigorosa per donare lungamente frutti saporosi così come l’amicizia
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Nella notte buia della via il brillar di una stella rincora
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Compleanni!… ponti che traghettate passato e futuro sul fiume della vita, estendete sugli argini fragranza gioiosa di felicità.

Compleanni!… ponti sospesi sul fiume della vita, traghettando passato e futuro, spargete sugli argini gioiosa e felice fragranza.

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Quando tutti gli angoli della terra non avranno più segreti fermarsi a rileggere parole non dette faranno riemergere ricordi piacevoli di momenti trascorsi.
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Semplici parole sanno formare frasi capaci di saldare durevoli sentimenti
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Grazie per i ricordi che mi hai lasciato e che in questi momenti riaffiorano prepotentemente. Quante volte ci siamo messi in discussione per la realizzazione di uno spettacolo, per la scelta di un testo, di un personaggio, di un allestimento. Ma quante ore straordinarie abbiamo trascorso insieme per donare agli amici le nostre fatiche. “I fà sempre a cagnèra!” Dicevano quelli che non ci conoscevano bene. Non potevano sapere che le nostre discussioni non avevano niente a che vedere con la nostra salda e profonda amicizia. Io le rifarei tutte se potessi. Ma il tempo divora gli anni inesorabilmente e nessuno ha la capacità di fermalo. Soltanto la memoria ci permette di tornare nel passato per farci rivivere proprio quei momenti. Grazie ancora per quello che ci hai insegnato.
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Al cader delle foglie, che annunciano l’inverno, sognare leggendo può lenire l’attesa della Bella Stagione.
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L’umanità può rimanere indifferente di fronte al sorprendente miracolo della natura che si riproduce? Pur cechi, sordi, muti, vedremo, sentiremo, canteremo la gloria del creato che gioiosa si rinnova nell’incanto più profondo dall’anima?Copiose lacrime di felicità sgorgheranno da occhi stupiti e meravilgiati!
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“Come sei bella!” Disse il Tulipano all’Orchidea. “Anche tu!” Disse l’Orchidea al Tulipano. Entrambi sorrisero felici guardandosi nel laghetto: non si piacquero! Il Salice Piangente aveva lasciato scivolare dalle sue foglie due lacrime di rugiada. Lo specchio d’acqua deformò le immagini. La realtà occultata ferì il Creatore che cancellò lo sconforto riconsegnando ai due innamorati la gioia di vivere…
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Kym era lo “sposo” di Kymera la cricetina. Lui violento mordeva chiunque e, per questa ragione, restava sempre chiuso in gabbia. Lei, al contrario, era buona, tranquilla, pulitissima; girava sulla scrivania infilandosi nelle maniche della giacca per uscire dal collo, entrava nelle tasche esterne ed interne, nel taschino… e con la testolina fuori guardava incuriosita le mie mani che si muovevano. Ogni tanto riceveva qualche briciola di cibo che gradiva e andava a mangiare sulle mie spalle. Nella prima covata fecero dieci figli (cinque maschi e cinque femmine) che abbiamo subito regalato agli amici sapendo che già nel primo mese diventano adulti e non si preoccupano minimamente di essere consanguinei. Kymera girava per casa senza problemi. Purtroppo però un giorno è caduta dal terrazzo ed è entrata in un vasto deposito di sedie dal quale non è più uscita. Kym, rimasto solo, si ammalò. Per non lasciarlo morire in quelle condizioni, l’ho portato sotto una grossa quercia riempiendo un buco con tanto mangime e del fieno che usava come lettiera. Ogni tanto lo andavo a trovare perchè non si sentisse troppo solo e gli lasciavo: noci, nocioline, semi di girasole e altre granaglie ma ormai era troppo vecchio. Restava a guardare immobile. Si era naturalmente calmato. Non mordeva più nessuno. Dopo poco tempo è scomparso. Ancora li ricordo e ne sento la mancanza. La solitudine e la vecchiaia non abbondano di allegria!
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Mi piacciono tanto: fiori, piante, animali, persone; amo il creato! Non sempre, però, riesco ad accettarne i comportamenti (miei compresi). I fichi d’India li sbuccio col coltello e forchetta, i cactus li guardo senza toccarli, le vipere le osservo da molto lontano, passo alla larga anche dalle meduse. Così cerco di fare con la gente irascibile, intrattabile. Da piccolo portavo a casa ogni sorta di esseri viventi: topini, lucertole, pappagalli, rane, rospi, pesci rossi, tartarughe. Non diciamo poi di cani, gatti, volatili, di ogni specie. Mia madre si ostinava a dissuadermi ma non c’era verso. Fra tanti avevo trovato, in una discarica, un gattino allampanato, magro, smunto, secco da far pena. L’avevo subito battezzato “Smilzo”. Dopo un po’  di cure e di cibo era diventato bellissimo e ubbidiente. Dormiva ore e ore di giorno e di notte. Era diventato uno della famiglia. Stranamente una sera mia madre trovò in strada un passerotto caduto dal nido. Me lo portò dicentomi: “Tieni! Prendi anche questo per il tuo giardino zoologico”. Sono riuscito ad allevarlo e farlo volare. Girava anche lui da un mobile all’altro e trascorreva molto tempo a guardare, attraverso i vetri, la gente che passava per strada. Il nome di “Ciuffo” si adattava al suo piumaggio arruffato.  “Smilzo” lo guardava volare e sembrava indifferente. Un pomeriggio “Ciuffo”  si fermò sull’inferiata della finestra a cinguettare. “Smilzo” con un salto fulmineo lo addento, lo uccise e me lo portò sul tavolo. Provai un forte dolore per la perdita di quell’indifesa creatura ma non mi sono sentito di rimproverare il gatto che forse mi aveva voluto, con devozione, regalarmi la vittima. La natura spesso sa essere terribilmente spietata.
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Nessuno sciopera per un verme indifeso che, per divertimento, viene infilato vivo in un amo affinché possa ingannare un pesce affamato?
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Conobbi una creatura giovane, bella, intelligente! La vidi donna splendida, madre meravigliosa! Mi colpì il suono della voce, l’odore della pelle, il calore del corpo, lo sguardo ipnotizzante, paralizzante, la presenza allegra, gioiosa. Mi entrò nel sangue, nel cervello, nell’anima! La gelosia ferì più volte i sentimenti… Mi rattristò, mi tolse il sonno, l’appetito. L’assenza occupò il pensiero con invadenti immagini allucinanti. Tutto ciò si chiama Amore?